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Fin da quando apparve, in Grecia, intorno al VI secolo a.C., la dottrina orfica ha rappresentato un potente elemento di rottura con tutto il mondo antico. Le prassi salvifiche, strettamente connesse alla credenza nell'immortalità dell'anima, il fermo rifiuto dei rituali sacrificali e il conseguente vegetarianesimo, l'originale concezione del tempo e della memoria, definivano un modo di vivere - il bios orphikos - la cui natura era, insieme, poetica e politica. In questo breve e densissimo testo, Gianni Carchia ha interrogato nuovamente il fenomeno dell'orfismo in tutte le sue implicazioni. Si può comprendere facilmente come tale fenomeno rappresenti, per Carchia, non tanto una questione storiografica, ma soprattutto un problema estetico e politico: se la tragedia costituisce uno dei cardini attorno a cui ruota la macchina di costituzione della polis, l'orfismo rappresenta una via decisamente alternativa alla stessa polis, rivendicando al proprio centro la parola poetica in tutta la sua forza autonoma.